I PIANI DI ZONA 2015-2017: SVILUPPO SOCIALE, EQUITA’ E COESIONE
La Direzione Cittadina del Partito Democratico di Cremona, sulla base dell’approfondita discussione e delle proposte formulate dalla “Commissione Politiche Sociali”, rende nota la propria posizione sulle tematiche sociali, generali e specifiche, da porre alla base dell’elaborazione del “Piano di Zona 2015-2017”.
L’appuntamento della stesura dei nuovi Piani di Zona assume un significato particolare nel contesto socio-economico attuale, contesto che mette a dura prova la stessa “tenuta sociale” delle nostre collettività. Sempre più evidente infatti è la forbice tra un contesto sociale segnato dalle difficoltà economiche e lavorative, che esprime quindi una domanda crescente, esigente e diversificata, e la possibile offerta, che vede risorse nazionali drasticamente ridotte e risorse comunali altrettanto scarse, in relazione alle manovre sulle finanze locali degli ultimi. Questa situazione impone alla politica un salto di qualità e una più forte capacità di scelta.
Certo negli anni scorsi i Comuni della provincia di Cremona, a conferma delle tradizioni di un territorio, hanno mostrato di saper “tenere” sul piano della difesa della spesa sociale: i 115 € pro capite medi sono tra i più alti della Lombardia, terzi dopo Milano e Monza, ma molti problemi restano ed esigono risposte “nuove”.
La finalità principale dei nuovi piani di zona deve essere la tutela dei diritto all’uguaglianza tra le persone che vivono sul territorio, indipendentemente da quale sia il Comune nel quale risiedono.
Le profonde differenze, di quantità e qualità dei servizi di cui possono usufruire, unitamente alla disparità di costi, distorcono e sviliscono il principio di “pari opportunità” e non possono più essere portate avanti.
Certo, il cambiamento deve essere apportato e supportato in maniera graduale, operando concretamente in ciascuno dei nostri Distretti prima, tra i diversi Distretti subito dopo e così via, con consapevolezza delle difficoltà che si potranno evidenziare, ma con estrema determinazione. In questo contesto il ruolo del Comune di Cremona diventa fondamentale, per tornare ad esercitare una funzione di traino e di leadership strategica per il territorio.
In quest’ottica, i democratici cremonesi offrono al dibattito e all’approfondimento politico la proposta di cinque obiettivi:
1.Riequilibrio tra le risorse programmate e gestite a livello comunale e quelle programmate e gestite a livello distrettuale.
Attualmente, a livello provinciale, solo il 25% delle risorse viene programmato e gestito a livello distrettuale; ciò comporta, inevitabilmente, il rischio di grandi differenze tra un Comune (e/o una aggregazione di Comuni) e l’altro.
Il nuovo piano, a nostro avviso, deve prevedere obiettivi numerici precisi al riequilibrio (a titolo esclusivamente esemplificativo, portando la spesa “associata” al 35% il primo anno, al 45% il secondo, il 55% alla fine del terzo), individuando modalità e meccanismi operativi.
2.Il nuovo ISEE, primo, fondamentale banco di prova.
Nato come strumento di equità, di coesione e di cittadinanza a livello nazionale (Livello Essenziale delle prestazioni sociali), non è pensabile che possa diventare prigioniero della frammentazione comunale (attualmente sono presenti 115 ISEE).
Questa, cercando di conciliare prudenza, gradualità, necessità di sperimentazione, la nostra proposta per una regolamentazione (quantomeno) distrettuale:
- affermazione del principio di “universalità” degli accessi, col solo limite, se e quando necessario, del rispetto del patto di stabilità;
- adozione del “metodo della progressione lineare”, ritenuto in linea di principio il metodo in grado di garantire la maggiore equità, per la gran parte dei servizi soggetti ad ISEE, a partire ovviamente da quelli particolarmente onerosi per il singolo destinatario (ad esempio: sostegno economico, asili nido, accoglienza residenziale minori, assistenza domiciliare anziani e disabili, centri socio-educativi, centri diurni disabili, servizi formazione all’autonomia, comunità alloggio disabili, integrazione R.S.A., centri diurni integrati);
- adozione del “metodo a scaglioni” praticamente solo per servizi dal costo relativamente limitato, “forbice” di co-partecipazione da parte del Comune sostanzialmente ristretta, alto numero di utenti che renderebbe amministrativamente complicato l’applicazione del metodo lineare (ad esempio: mense scolastiche, trasporto scolastico, pasti a domicilio);
- definizione di quota minima per tutti i servizi che inducono un “risparmio” nella vita domestica familiare, ad esempio perché il servizio comprende il pasto (asili nido, mensa scolastica, trasporto scolastico, centri diurni estivi, pasti a domicilio, C.S.E., C.D.D., S.F.A., C.D.I.);
- definizione a livello distrettuale, servizio per servizio, di ipotesi medie di soglie, formule di progressioni lineari o di scaglioni, quote minime di partecipazione;
- definizione del “range” di scostamento (in più o in meno) dalle ipotesi medie formulate, all’interno del quale i Comuni, secondo il Distretto, dovrebbero, nella loro autonomia, decidere di mantenersi (ad esempio: 15% il primo anno, 10 % il secondo, 5% il terzo).
3.Avvio di nuovi approfondimenti in tema di “dimensione”
Quello della programmazione locale in dimensione sovradistrettuale è un tema decisivo per migliorare qualità, efficacia, efficienza.
La Regione, giustamente, lo indica come prioritario nelle Linee Guida, tanto da prevederlo come criterio di premialità in caso di progetti sovra-distrettuali. Non è certamente un tema semplice, ma è necessario iniziare ad affrontarlo, individuando possibili sperimentazioni.
4.Miglioramento delle conoscenze e ri-composizione
Lavorare in un’ottica di moderno welfare territoriale significa programmare il miglioramento della conoscenza del contesto economico e sociale, leggere i bisogni – e non solo la domanda – dei singoli e delle famiglie, ri-componendo i settori di intervento, sociale e sanitario innanzitutto, ma anche riguardanti lavoro, casa, scuola…un welfare che agisca rafforzando le risorse individuali delle persone e le loro competenze sociali, integrando risorse e opportunità.
L’obiettivo della ricomposizione delle conoscenze, dei servizi e delle risorse si raggiunge mediante la partecipazione attiva e continuativa di vari attori del sistema di welfare, pubblico e privato, in un ottica di welfare comunitario a forte regia pubblica. Fondamentale la valorizzazione di un nuovo ruolo del terzo settore, non più solo considerato come un soggetto erogatore ma come un partner affidabile con cui programmare e gestire le politiche in un’ottica di co-progettazione e corresponsabilità dei rischi e dei benefici della collettività. Un welfare, in altre parole, non solo “riparativo” ma “generativo”, centrato sulle capacità, finalizzato ad essere motore di investimento e trasformazione sociale.
Nell’ottica delle programmazione politica sul welfare locale, pensiamo che il Partito Democratico, fin dalle fasi della progettazione sul welfare, debba stimolare e tenere in considerazione gli apporti che possano venire dalle associazioni del terzo settore, per attuare percorsi di vero coinvolgimento, rispettosi e valorizzanti di quanti offrono servizi alle persone lavorando in organizzazioni del privato sociale.
5.La governance
Un quadro nuovo e ri-compositivo significa un sistema di relazioni più evoluto e maturo tra Regione, ASL e Comuni.
Spunti significativi, a volte interessanti, sono stati offerti dalla Regione, con l’indicazione di strumenti quali il rapporto paritario, il fondo indistinto, lo sviluppo e il consolidamento della Cabina di Regia.
Ma anche il territorio deve fare un salto di qualità, cominciando dal praticare, con spirito e criteri nuovi, gli strumenti di governance.
A partire da quelli esistenti; a partire dal Consiglio di rappresentanza dei Sindaci del quale va probabilmente ripensata la composizione con l’obiettivo di farne uno strumento stabile e continuativo di lavoro in corso d’anno, con persone che conoscano e seguano assiduamente queste tematiche, in grado di affiancare ai confronti tecnici una vera visione politica. È necessario in questo senso far sì che la modalità di collaborazione tra ASL ed Enti Locali consentano alle competenza che sono maturate nei diversi ambiti di incontrarsi e potenziarsi a vicenda, così che i comuni mantengano anche nel confronto con la ASL il ruolo di attori politici, dal quale non si può prescindere.